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Sonia Maria Luce Possentini: quando si dice nomen omen. Ci voleva esattamente questo, e niente di meno, per non farsi sopraffare dagli spaventosi intricatissimi sentieri di questa intricatissima storia — e il bosco è sicuramente il posto (il topos, proprio) meno minaccioso. Ci voleva forza, sguardo impavido che mettesse in fuga le ombre, calma leggera e senso ancestrale della maternità. Ci voleva una donna — non che sia stata lei la prima a occuparsene, per carità: da Simone de Beauvoir a Anne Sexton, per citarne solo due tra le somme, è evidente che una materia tanto incandescente non poteva sfuggire alle intelligenze femminili in cerca di risarcimenti. Però non me ne viene in mente nessun’altra che abbia saputo farlo con la forza pura delle immagini. So poco di storia dell’arte, ma in queste illustrazioni ho ritrovato il Tenniel di Alice e i preraffaelliti, ma anche Tim Burton, e tutte le inquietudini del Novecento. Possente Possentini. Le sono grata, perché mi ha fatto fare la pace con una fiaba che ho sempre detestato, avendola sempre trovata fastidiosamente eccessiva. Troppo di tutto: troppa l’attesa per una gravidanza riottosa, troppi i voti gli scongiuri le promesse, troppo il fasto del battesimo, troppa (e inspiegabile) la permalosità della Fata esclusa dalla lista degli invitati, troppo crudele la sua vendetta, troppo inadeguato il controincantesimo della collega buonista (che, ma lo sappiamo solo ora, evidentemente non aveva frequentato con profitto Hogwarts). Troppo simbolici i simboli, troppo esplicite le metafore, troppo monarchico il menarca (lo so, è un calembour imperdonabile, ma non ho resistito), troppo irritante il nome, almeno nella vulgata con cui siamo cresciute: Rosaspina, ma andiamo! Una bambina condannata a una puntura fatale tu la chiami Rosaspina? E allora te la sei andata a cercare! Chiamala, che so, Coriacea, chiamala Antidoto, se hai fatto studi classici puoi provare con Proserpina, ma Rosaspina? Chiaro che quella appena si allenta la sorveglianza corre a bucarsi con la prima roba appuntita che le capita a tiro (absit iniuria verbis, naturalmente).
Diffido sempre un po’ dei finali cambiati: sappiamo bene che certe storie sono eterne proprio perché hanno saputo attraversare il tempo rimanendo uguali a se stesse, sillaba dopo sillaba. E guai se qualcuno raccontandocele si permette delle libertà. Quello che conta, quello che ci interessa, non è mai “come va a finire” — quello lo sappiamo da prima, da sempre. Quello che conta è la storia, il suo passo, il suo svolgimento, il suo rito. In questa versione, peraltro filologicamente impeccabile, la storia c’è tutta, con la variante del cambio di prospettiva finale che però non altera in alcun modo la narrazione, ma si limita a riscattare la passività letteralmente mortale della protagonista. E ci sono le immagini, straordinarie. Sarebbe bello se — per chiudere il cerchio di questa riappropriazione archetipica — a svegliare l’innocente narcolettica questa volta fosse la voce di Fabrizio de André: «Continuerai a farti scegliere, o finalmente sceglierai?». Se è vero che i sogni son desideri, chissà, forse, magari, un giorno.
(Lella Costa)
Sonia Maria Luce Possentini, premio Andersen come miglior illustratrice del 2017, con corsiero editore ha pubblicato i seguenti libri: Il pinguino senza frac di Silvio D’Arzo, Martino ha le ruote di Annalisa Rabitti , Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll, Léonie si sposa di Isabelle Wlodarczyk.
anno: 2015
pagine: 36
formato: 24×18 cm
ISBN: 978-88-98420-28-5