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L’immagine di Dio o degli angeli si manifesta agli uomini attraverso differenti cornici del mondo, scegliendo nubi o paesaggi in cui il presagio del divino si rivela senza ricorrere a un’immagine retoricamente riconoscibile. Le teofanie presagiscono l’evento annunciando le sembianze con cui l’artefice poi nella sua iconografia terrestre adornerà i cieli o le icone con opere memorabili. Le mie Teofanie alloggiano ovunque, sui volti eterei o sognanti di angeli sospesi tra terra e cielo in attesa di essere riconosciuti, o sui volti non meno velati, distanti o vicini del Salvatore. Volti tolti dall’oblio del presente e restituiti nell’idealità del trascendente. Anche l’opera disegnata, scolpita, fotografata o dipinta è nel suo manifestarsi “teofania” in quanto manifestazione del sublime. Sublimazione della materia incongrua che prende corpo, forma… anima mundi. Ogni volta che inizio un disegno o un dipinto dimentico la terra e il cielo. La superficie è morbida e algida, il segno è netto e scuro. Il desiderio di iniziare l’opera è iniziato prima , durante un viaggio, in una sala d’attesa, mentre salgo o scendo una scala, ascoltando musica, correndo, nuotando, sognando. La bellezza è ancora lì, sospesa tra la gravità del suolo e il cielo. Dire dove alberghi o riposi prima del gesto creativo è difficile dovendola dividere dall’orrore e la decadenza dei tempi che viviamo. L’arte e tutti i tentativi per raggiungere un codice estetico e morale sembrano oggi impotenti davanti a una quotidianità così opprimente e invalidante. Cerco quindi affannosamente nell’opera la resistenza alla barbarie delle parole o delle immagini che ogni giorno percuotono e affollano la nostra terra, i nostri occhi. La speranza alimenta quindi la bellezza, dovendo cedere ogni giorno qualcosa di noi, in virtù di un canto “alto” che ci allontani dall’abbrutimento delle forme e dei contenuti del mondo in cui viviamo. La “rete” e le sue infinite combinazioni ci hanno privato dell’attesa, che ha nella speranza della bellezza, delle parole o dei gesti il suo epilogo esaltante, edificante. Stringere la bellezza al cuore e nelle mani è sempre stato il compito dell’artista, senza sottrarsi al rischio e al dolore. Trarre dalla materia incongrua un’immagine o tutto ciò a cui lo spirito anela è l’inizio e il fine dell’opera. La bellezza è racchiusa nella terra, nell’acqua, nell’aria, nel fuoco. La composizione e la scelta di questi elementi possono generare bellezza se sublimati. La scelta caotica degli stessi genera soltanto disarmonia. Le città costruite nell’era dell’attuale disarmonia creano soltanto caos. La bellezza resta allora soltanto desiderio. Questo “desiderio” (dal latino de sidus, dalle stelle) genera il bisogno impellente dell’opera che ha nell’artista il proprio demiurgo, officinatore tra cielo e terra alla ricerca di un anelito di bellezza. Quando guardo un capoverso di un codice miniato del Trecento in cui si intessono le lodi a Dio, e le immagini dipinte sul vello di un bianco agnello, non penso più alla fatica della mano dell’esecutore ma ai suoi occhi socchiusi sull’ultimo frammento di un manto blu ottenuto da un minerale della terra… il lapislazzuli! La bellezza è attorno a noi, a noi il compito di rivelarla. Mai ci fu un tempo in cui la bellezza fosse così tanto attesa e necessaria.
Lo stupore di una bellezza donata. Una bellezza che non ti aspetti e che ti sorprende. Prima non c’era. O forse si annunciava come sogno. Di più: come speranza. Eccola che si fa volto, cuore, paesaggio. Avevamo fame e sete della bellezza che Omar Galliani ha saputo generare quando l’arte sembrava non volerne più sapere di lei: non la cercava, non la desiderava, anzi la ripudiava come qualcosa di irrimediabilmente passato, che solo la storia poteva custodire. Scrive Galliani: “Tutto il mio lavoro scorre su una lama sottile che tiene strette nel pugno le trame e le tracce della storia dell’arte. Il coltello affonda dolorosamente nella ferita della storia, consapevole dell’impossibilità di rimettere in gioco il tempo o di invertirne il corso”. Il suo è un disegno infinito, ma prima che senza confine è senza tempo. Non si consuma nell’ossessione del presente. L’arte di Galliani è aperta all’irrompere dell’Oltre che sorprende con un battito d’ali, con il “sì” di una fanciulla di Nazareth, con quegli occhi chiusi nel silenzio della contemplazione… Teofania è l’apparizione, la manifestazione sensibile del divino, che ha il suo vertice nell’impensabile: l’Incarnazione (…) Omar Galliani è oggi il grande maestro del disegno italiano perché ha saputo opporsi con genio e coraggio a quell’arte moderna e contemporanea che ha negato l’uomo distruggendone il volto: Picasso l’ha ridotto a maschera, de Chirico a testa di cuoio senza occhi né bocca, Bacon a macchia deforme. Ma il nostro destino non si risolve nella dannazione di una terra oppressa da un cielo vuoto. Con Galliani la bellezza riacquista spessore e dignità perché sa coniugare l’uomo di oggi e l’uomo di sempre. La vera svolta è nel tentativo, riuscito, di una poetica dell’unità, che sembrava irrimediabilmente perduta. Nel volto incarna lo spirito e spiritualizza la carne. Perché l’eterno abita il cielo e ciascuno di noi: è l’orizzonte dove estetica ed estasi coincidono, e la donna non è più la costola di Adamo, è Madre dei viventi, principio e vertice della nuova Creazione, bellezza assoluta. I volti di Galliani sono abitati dal mistero. Nel nome dell’assoluto le sue misure diventano smisurate: i volti sono i più grandi mai realizzati. Nel nome dell’assoluto una galassia può essere ridotta ai confini di una tavola, quasi a trattenere l’universo che è in noi e quello che ci sovrasta. Un processo che Galliani trae dalla tecnica fotografica e fa proprio perché la percezione possa andare oltre la visione retinica del nostro occhio ma anche di qualsiasi obiettivo, meccanico o digitalizzato che sia. Solo uno sguardo che non conosce limiti è capace di cogliere l’umano (…) Galliani non ha paura della bellezza. Ogni tavola è frutto di un lavoro totalizzante, di un operare con metodo: da quarant’anni occupa nove ore della sua giornata perché la meraviglia abiti nuovamente l’arte contemporanea. Nelle sue tavole il ritorno all’umano è nel segno del volto, il ritorno al creato nel segno del cielo. Omar Galliani è cavaliere del Graal, della bellezza possibile perché donata, offerta nel sacrificio. Un Parsifal solitario. Non ha assistenti. Non appartiene a correnti. Non ne ha bisogno.
Giovanni Gazzaneo
anno: 2018
pagine: 224
formato: 24×28
ISBN: 978-88-98420-98-8